Sono queste le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione nell’Ord. n. 24535 del 18 ottobre 2017.
L’Ordinanza
In sede di verifica fiscale veniva riscontrata l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte di una S.n.c. per gli anni 1999, 2000, 2001, 2002 e 2003, per cui l’Agenzia delle entrate notificava alla stessa ed ai soci i relativi avvisi di accertamento.
La società e i soci ricorrevano alla CTP di Milano, che respingeva i ricorsi.
Detti pronunciamenti venivano impugnati dai contribuenti davanti alla CTR Lombardia, che rideterminava il maggior reddito oggetto di accertamento, in diminuzione rispetto a quanto evidenziato nell’avviso, in virtù della considerazione di alcuni costi documentati, confermando l’applicazione delle sanzioni al minimo.
Davanti alla Corte di Cassazione viene dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 423 del 1995 e dell’art. 6 del D.Lgs. n. 472 del 1997. In particolare, “censurano la sentenza della CTR laddove ha ritenuto applicabili le sanzioni, per quanto fosse evidente dagli atti che la responsabilità per l’omessa dichiarazione fosse addebitabile esclusivamente al consulente che seguiva la società per le pratiche fiscali e per quanto, appreso del comportamento di quest’ultimo, i ricorrenti nel 2006 avessero provveduto ad inoltrare denuncia penale per truffa nei suoi confronti – da cui l’insorgenza di procedimento penale a suo carico – e a citarlo in sede civile per il risarcimento dei danni”.
Per la Corte, le due cause di non punibilità invocate dal contribuente per sostenere la non applicazione delle sanzioni non appaiono applicabili nel caso di ...