Con la Ris. n. 111/E dell’11 agosto scorso, le Entrate hanno chiarito la portata applicativa del meccanismo del reverse charge, in particolare quello di cui alla lettera a-ter) del sesto comma dell’art. 17, D.P.R. n. 633/1972, relativo alle prestazioni di servizi relativi agli edifici, introdotto con la Legge di Stabilità del 2015 ed in vigore dal 1° gennaio di tale anno.
La risoluzione si occupa della particolare situazione della verifica degli impianti di messa a terra, come vedremo in conclusione di questo contributo.
L’occasione appare più che altro propizia per ritornare su questo particolare meccanismo, sempre più utilizzato dal Legislatore fiscale domestico per il controllo del gettito IVA, in relazione in particolare al settore edile (1).
Il meccanismo dell’inversione contabile
Preliminarmente, e per comprendere al meglio le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate, ricordiamo brevemente i caratteri dell’istituto.
Come noto, il “reverse charge” costituisce un’eccezione al principio di carattere generale, di cui all’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, secondo il quale il debitore dell’IVA è il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi.
Da un punto di vista operativo, l’inversione contabile comporta che il cessionario/committente è tenuto all’assolvimento dell’imposta, diventando non solo debitore dell’IVA relativa alla prestazione ricevuta dal cedente/prestatore, ma anche il soggetto obbligato al versamento del tributo.
Il meccanismo comporta una variazione delle ordinarie modalità di fatturazione, relative all’operazione effettuata dal cedente/prestatore nei confronti del cessionario/committente.
In sostanza, in base all’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, il reverse charge opera così:
- il cedente/prestatore emette fattura al cessionario/committente senza applicazione dell’IVA, in osservanza delle disposizioni sulla fatturazione delle operazioni effettuate (artt. 21 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972), indicando la ...